Alzheimer, la Prof.ssa Annachiara Cagnin spiega quali sono i primi segnali da non ignorare
di Marco Reda
I segnali da non sottovalutare per riconoscere il morbo di Alzheimer nelle fasi iniziali della malattia
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I primi segnali di morbo dell'Alzheimer, rivelati dalla Professoressa Annachiara Cagnin
Il morbo di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa che può iniziare in modo silenzioso, con sintomi che spesso vengono sottovalutati o attribuiti a semplice stanchezza. A fare la differenza, come spiegato dalla neurologa Annachiara Cagnin, è proprio la continuità del disturbo, specialmente se anche familiari o amici iniziano a notarlo. Ecco quali sono i sintomi da non ignorare, come spiegato dalla Prof.ssa Annachiara Cagnin a Repubblica.it.
I segnali cognitivi più evidenti
Uno dei segnali più frequenti è la dimenticanza persistente, ma ciò che la rende preoccupante è il suo andamento peggiorativo nel tempo. Non si tratta quindi di scordare occasionalmente le chiavi o un appuntamento, bensì di episodi ricorrenti che iniziano a incidere sulla vita quotidiana. Oltre alla perdita di memoria, un altro campanello d’allarme è il calo dell’attenzione e della concentrazione. Può capitare di interrompere un discorso e dimenticare cosa si stava dicendo, oppure ritrovarsi in una stanza della casa senza ricordare il motivo per cui ci si era andati. Questi segnali, se isolati e saltuari, non devono preoccupare, ma se diventano frequenti è bene rivolgersi al medico. Anche la memoria di lavoro, quella che usiamo per gestire le informazioni nel breve periodo, può subire un deterioramento. In particolare se i vuoti di memoria interferiscono con le attività quotidiane, o diventano oggetto di osservazione da parte degli altri, è opportuno approfondire.
Quando serve una valutazione medica
Il sintomo non va sottovalutato soprattutto se è associato a cambiamenti comportamentali, come difficoltà a svolgere compiti semplici, smarrimento in ambienti familiari o sbalzi di umore. Anche se si tratta di episodi che inizialmente possono sembrare normali, è la loro frequenza e la loro evoluzione nel tempo a renderli significativi. Gli specialisti consigliano di parlarne con il medico di base, che potrà indirizzare verso una valutazione neurologica. L’obiettivo è identificare la malattia nelle fasi iniziali, quando le possibilità terapeutiche possono ancora influenzare positivamente la qualità della vita.
Guarda la versione integrale sul sito > Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha fatto passi importanti, con l’arrivo di terapie sperimentali che puntano a rallentare la progressione dell’Alzheimer. In particolare, anticorpi monoclonali come lecanemab e donanemab agiscono contro l’accumulo di beta-amiloide, una delle proteine coinvolte nel processo degenerativo. Il primo è già stato approvato sia dalla FDA americana che dall’EMA europea, mentre per il secondo si attende un nuovo parere. Promettenti anche i primi risultati per trontinemab, un nuovo farmaco ancora in fase di sperimentazione. Se confermati, questi trattamenti potrebbero rappresentare una svolta importante nella gestione della malattia. Le novità sui farmaci che rallentano la progressione
Giornalista pubblicista dal 2013, esperto e specializzato in calcio e altri sport ma anche spettacoli tv, attualità, cronaca e salute.
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