Alzheimer, la Prof.ssa Annachiara Cagnin spiega quali sono i primi segnali da non ignorare

I segnali da non sottovalutare per riconoscere il morbo di Alzheimer nelle fasi iniziali della malattia

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I primi segnali di morbo dell'Alzheimer, rivelati dalla Professoressa Annachiara Cagnin

Il morbo di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa che può iniziare in modo silenzioso, con sintomi che spesso vengono sottovalutati o attribuiti a semplice stanchezza. A fare la differenza, come spiegato dalla neurologa Annachiara Cagnin, è proprio la continuità del disturbo, specialmente se anche familiari o amici iniziano a notarlo. Ecco quali sono i sintomi da non ignorare, come spiegato dalla Prof.ssa Annachiara Cagnin a Repubblica.it.

I segnali cognitivi più evidenti

Uno dei segnali più frequenti è la dimenticanza persistente, ma ciò che la rende preoccupante è il suo andamento peggiorativo nel tempo. Non si tratta quindi di scordare occasionalmente le chiavi o un appuntamento, bensì di episodi ricorrenti che iniziano a incidere sulla vita quotidiana. Oltre alla perdita di memoria, un altro campanello d’allarme è il calo dell’attenzione e della concentrazione. Può capitare di interrompere un discorso e dimenticare cosa si stava dicendo, oppure ritrovarsi in una stanza della casa senza ricordare il motivo per cui ci si era andati. Questi segnali, se isolati e saltuari, non devono preoccupare, ma se diventano frequenti è bene rivolgersi al medico. Anche la memoria di lavoro, quella che usiamo per gestire le informazioni nel breve periodo, può subire un deterioramento. In particolare se i vuoti di memoria interferiscono con le attività quotidiane, o diventano oggetto di osservazione da parte degli altri, è opportuno approfondire.

Quando serve una valutazione medica

Il sintomo non va sottovalutato soprattutto se è associato a cambiamenti comportamentali, come difficoltà a svolgere compiti semplici, smarrimento in ambienti familiari o sbalzi di umore. Anche se si tratta di episodi che inizialmente possono sembrare normali, è la loro frequenza e la loro evoluzione nel tempo a renderli significativi. Gli specialisti consigliano di parlarne con il medico di base, che potrà indirizzare verso una valutazione neurologica. L’obiettivo è identificare la malattia nelle fasi iniziali, quando le possibilità terapeutiche possono ancora influenzare positivamente la qualità della vita.


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Le novità sui farmaci che rallentano la progressione

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha fatto passi importanti, con l’arrivo di terapie sperimentali che puntano a rallentare la progressione dell’Alzheimer. In particolare, anticorpi monoclonali come lecanemab e donanemab agiscono contro l’accumulo di beta-amiloide, una delle proteine coinvolte nel processo degenerativo. Il primo è già stato approvato sia dalla FDA americana che dall’EMA europea, mentre per il secondo si attende un nuovo parere. Promettenti anche i primi risultati per trontinemab, un nuovo farmaco ancora in fase di sperimentazione. Se confermati, questi trattamenti potrebbero rappresentare una svolta importante nella gestione della malattia.

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Marco Reda

Giornalista pubblicista dal 2013, esperto e specializzato in calcio e altri sport ma anche spettacoli tv, attualità, cronaca e salute.