
Secondo questa ricerca la variazione nella concentrazione di determinate proteine e le alterazioni nel tessuto cerebrale comparirebbero in sequenza e a tappe definite
Un recente studio pubblicato sul The New England Journal of Medicine ha dimostrato come i segnali premonitori del morbo di Alzheimer possono manifestarsi anche quasi 20 anni prima della malattia conclamata. Insomma, non bisogna attendere che si verifichi perdita di memoria, difficoltà nel linguaggio e declino cognitivo, prima di intraprendere un percorso terapeutico per rallentare la progressione della patologia. Secondo i risultati di questo studio la variazione di concentrazione delle placche di beta amiloide e della proteina Tau, oltre alle altre modifiche al tessuto cerebrale, si verificano progressivamente ma tendono ad iniziare molti anni prima che la malattia si manifesti con i suoi caratteristici sintomi.
Gli autori della ricerca
Questo studio potrebbe offrire spunti importanti per comprendere i segnali predittivi della malattia che sono presenti anche quando il soggetto vive uno stato cognitivo sano. Oggi sappiamo quanto la diagnosi precoce possa consentire alle terapie a disposizione di essere maggiormente efficaci. Se la patologia viene combattuta nelle fasi iniziali, le possibilità di ritardare l’insorgere del declino cognitivo sono molto elevate. Lo studio è stato condotto da una equipe di ricercatori cinese guidato da studiosi del Centro di innovazione per i disturbi neurologici – Dipartimento di Neurologia dell’Ospedale Xuanwu. Alla ricerca hanno anche dato il proprio contributo una serie di istituti illustri fra i quali anche il Centro per la malattia di Alzheimer – Istituto di Pechino per i disturbi cerebrali; l’Ospedale Anding e il Dipartimento di Psichiatria dell’Ospedale popolare provinciale di Zhejiang.
Come è stato condotto lo studio
La ricerca è stata condotta su migliaia di partecipanti (uomini e donne di mezza età) e ha abbracciato una lunga fase di osservazione estesa tra gennaio 2000 e dicembre 2020. Durante questo periodo una serie di volontari si è sottoposta a una serie di esami regolari fra i quali il test del liquido cerebrospinale (CSF), le scansioni cerebrali e la valutazione della funzione cognitiva attraverso test standardizzati. Sono stati messi a confronto i casi di 648 individui che hanno mantenuto una cognizione sana e i casi di un altro gruppo di 648 persone che hanno poi sviluppato l’Alzheimer. In questo modo è stato possibile individuare il momento esatto in cui si sono manifestati i biomarcatori della neurodegenerazione che poi è sfociata nel declino cognitivo e nella diagnosi di demenza.
Cosa si è scoperto
Nei soggetti che hanno sviluppato la malattia è stato evidenziato già 18 anni prima dello sviluppo della malattia un incremento della concentrazione della proteina beta-amiloide 42 nel liquido cerebrospinale. A 14 anni dalla diagnosi si è invece notata una differenza nel rapporto tra beta-amiloide 42 e beta-amioide 40. Si tratta di due proteine la cui presenza massiccia nel sistema nervoso è correlabile alla neurodegenerazione. A 11 anni si è osservato un aumento della proteina Tau 181 fosforilata nel gruppo Alzheimer, mentre a 10 anni l’incremento riguardava la Tau. A 8 anni le risonanze magnetiche hanno diagnosticato nei soggetti che hanno poi sviluppato la malattia, l’atrofia dell’ippocampo. Infine a 6 anni dalla diagnosi, si sono già evidenziati i segnali inequivocabili del declino cognitivo rilevati mediante test standardizzati.
Gli scienziati hanno rilevato nei soggetti che si ammalavano una frequenza maggiore (37,2 percento contro 20,4 percento del gruppo di controllo) della presenza di una variante genetica chiamata APOE4. Questo studio ha evidenziato, in conclusione, come sia fondamentale studiare a fondo l’andamento temporale dei biomarcatori della malattia di Alzheimer, anche se serviranno ulteriori conferme che proverranno da ulteriori studi scientifici.
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